Efficace attuazione del Mod. 231
La valutazione giurisdizionale in ordine alla idoneità ed efficace attuazione del modello organizzativo rappresenta indubbiamente uno dei punti nevralgici dell’intera disciplina in tema di responsabilità da reato dell’ente.
Il tema è collegato con quello dei controlli dell’OdV, la cui insufficienza o inadeguatezza viene spesso qualificata dagli interpreti come la spia della inefficacia preventiva del modello, tanto più considerato che il regime dei reati commessi dai soggetti apicali prevede l’inversione dell’onere della prova, per cui è l’ente a dovere dimostrare, in una dimensione probatoria significativamente definita “ad imbuto”, di avere effettivamente adottato un modello idoneo a prevenire la commissione dei reati presupposto risultato in concreto inefficace a cagione dell’avvenuto aggiramento fraudolento dei controlli da parte degli agenti.
Per la verità, il punto appare ancor più rilevante solo ove si rifletta che secondo la giurisprudenza di merito non vi sarebbe un diverso onere probatorio nei casi previsti dall’art. 6 (reati commessi dagli apicali) rispetto a quelli contemplati dall’art. 7 (reati commessi da subordinati), posto che il controllo del giudice sulla efficacia del modello sarebbe identico in entrambe le ipotesi, riguardando la valutazione del suo contenuto, sotto l’aspetto della idoneità, e della sua attuazione, con riguardo alla sua efficacia.
E’ sufficiente esaminare le pronunce in materia per rendersi conto di come in un ambito in cui l’opinione del singolo giudice in merito alla idoneità del modello è destinata a formarsi non tanto sulla base di predeterminati parametri normativi, bensì sulla applicazione di norme di organizzazione aziendale sovente mediate dal sapere del perito, il profilo dei controlli dell’OdV costituisca uno dei presidi sui quali la verifica giurisdizionale resta maggiormente ancorata al dato positivo della legge e meno soggetta all’arbitrio dell’interprete.
In questo senso, si è posta l’attenzione su riscontrate “evidenti disfunzioni organizzative e da grave inefficacia del sistema dei controlli interni” per negare efficacia esimente al modello organizzativo dei cui sistemi di controllo l’ente assumeva l’illegittimo aggiramento.
L’inefficacia del modello è stata affermata sulla base di procedure di controllo dell’OdV che, pure essendo previste sulla carta, il giudice ha ritenuto di impossibile attuazione pratica a causa della sovrapposizione di ruoli tra controllore e controllato.
Nello specifico (caso Thyssen-Krupp), le verifiche alle quali era chiamato l’organismo riguardavano due settori dell’azienda (manutenzione degli impianti e organizzazione del servizio di emergenza) di competenza di un’Area il cui responsabile faceva parte dell’OdV.
Più di recente (vicenda Impregilo), i giudici di legittimità hanno affrontato un caso di aggiotaggio nel quale i giudici di merito, sia in primo sia in secondo grado, avevano ritenuto provata l’efficacia esimente del modello organizzativo in base alla considerazione che alcuni dati in ipotesi manipolati dagli organi di vertice in un comunicato stampa di un ente al fine di renderli soddisfacenti per il mercato, sarebbero stati frutto di una palese violazione dei canoni di condotta stabiliti dalla società in base al codice di autodisciplina di Borsa italiana S.p.A. (quindi in accordo con le linee guide di Confindustria), quindi di una condotta fraudolenta ai sensi dell’art. 6 d. lgs. 231/2001 ai danni degli altri protagonisti della procedura violata, interni all’ente medesimo. Nell’annullare la sentenza di assoluzione dell’ente, la Corte di cassazione ha fatto leva su un asserito difetto genetico di vigilanza nelle procedure di controllo, osservando che i controlli dell’OdV non devono essere cartolari ma effettivi e “la non subordinazione del controllante al controllato”, evenienza che nel caso considerato non poteva ritenersi accertata dal momento che non sarebbe chiaro se prima della diffusione del comunicato definitivo incombesse o meno sugli amministratori il dovere di sottoporre all’organo di controllo le modificazioni apportate al testo del documento. In quest’ottica, la sentenza ha affermato che “se all’organo di controllo non fosse nemmeno concesso di esprimere una dissenting opinion sul prodotto finito (rendendo in tal modo manifesta la sua contrarietà al contenuto della comunicazione, in modo da mettere in allarme i destinatari) è evidente che il modello organizzativo non possa ritenersi atto a impedire la comunicazione del reato (di) aggiotaggio”.
L’aspetto dei controlli riveste, dunque, un rilievo centrale nell’economia dell’accertamento sull’efficacia del modello che, secondo la Cassazione, deve essere esclusa quando sia constatata la carenza degli stessi, atteso che detta lacuna esclude la possibilità per il giudice di ravvisare l’esistenza di condotte fraudolente volte ad aggirare il sistema preventivo del modello.
Per quanto il principio di diritto affermato possa essere condiviso, deve essere comunque chiaro che l’attribuzione di poteri di vigilanza all’OdV e l’esigenza di una sua “non subordinazione” ai controllati non potrebbe mai giungere al punto da consentire a quest’ultimo di sovrapporsi agli organi amministrativi, quasi a realizzare un’opera di supervisione sui vertici dell’ente con riguardo all’esercizio dell’impresa.
Se, infatti, l’attività dell’organismo può sostanziarsi anche in controlli di secondo grado (realizzati attraverso scambi informativi con la struttura aziendale, coi preposti al controllo interno, con il comitato audit nonché con il collegio sindacale), è indubbio che esso non sia investito di un potere di intervento trasversale a tutti i settori e le funzioni di impresa che potrebbero essere interessate alla commissione dei reati 231 .
Sembra inoltre alquanto complesso ipotizzare un dovere immanente dell’OdV di intervenire per lanciare “segnali di allarme” sostituendosi agli amministratori, come preteso dalla Cassazione, tenuto anche in debito conto che il sistema di reporting del modello 231, in ultima analisi, è destinato a far confluire i dati dell’attività di vigilanza in capo proprio a quei soggetti che sono destinatari del controllo. Allo stato attuale della giurisprudenza non sembra dubbio, quindi, che l’esistenza di un rapporto di immedesimazione tra vertici della società ed ente fondi nella visione giurisprudenziale un modello di responsabilità di tipo obiettivo, nel caso dei reati commessi dai soggetti apicali, nel quale la regola di giudizio ex art. 66 decreto 231, secondo cui il giudice del dibattimento esclude la responsabilità dell’ente anche quando manca, è insufficiente o contraddittoria la prova dell’illecito amministrativo, viene intesa solo ove dubbia risulti l’esistenza di un interesse o vantaggio della società e non, invece, quando l’incertezza riguardi l’adozione di una corretta ed efficace azione di vigilanza sui modelli.